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Internet of things: le nuove sfide della sicurezza online

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“Internet of Things” (Iot) è il termine utilizzato per connotare dispositivi, sistemi e servizi ad elvata connettività: nato nel 2009 come una visione per cui  tutti gli oggetti della vita quotidiana, una volta resi identificabili tramite delle “etichette” elettroniche, potrebbero essere gestiti ed inventariati da computer, si è evoluto (grazie allo sviluppo del protocollo IPv6) verso  l’assegnazione  di un indirizzo IP ad ogni oggetto per poterne permettere la connessione alla rete.

Per dare un’idea delle proporzioni del fenomeno basti pensare che, nonostante le cifre siano soggette a grandi variazioni a seconda dei modelli di previsione utilizzate, le prospettive sono nell’ordine delle decine di miliardi di dispositivi connessi entro l’anno 2020.Nonostante la ricerca e gli studi sullo Iot siano ancora in fase iniziale, e non vi sia ancora un accordo circa la precisa definizione del fenomeno, una preoccupazione condivisa dalla grande maggioranza di ricercatori e svilupppatori è quella relativa alle questioni di sicurezza.

In particolare, preoccupano le analogie del rapido sviluppo dello Iot con ciò che fu la rapida proliferazione dell’internet tradizionale alla fine degli anni 80, quando al cospetto delle sconfinate prospettive aperte dalla nuova tecnologia le problematiche di sicurezza scivolarono in secondo piano, costringendo l’industria ad una successiva rincorsa per riparare le falle lasciate aperte in prima istanza: la differenza col passato è che l’apertura di una breccia di sicurezza in un sistema composto da oggetti fisici avrebbe effetti ancora più tangibili di quelli già concreti causati dall’hacking di una rete “tradizionale”.

Una prima visione di insieme sulle criticità di un mercato che prevede tassi di crescita vertiginosi nell’immediato futuro  è stato offerto lo scorso 7 maggio al primo Security of Things Forum, svoltosi a Cambridge, Massachusetts: barriere tecnologiche (come è possibile proteggere un numero così elevato di dispositivi diversissimi tra loro? E’ concepibile stabilire uno standard a livello mondiale? Che livello di accesso è prudente concedere per ogni dispositivo?), riluttanza di molti business nell’investire in sicurezza (operando su una logica costi/benefici molte attività dovranno decidere se rendere le proprie infrastrutture più sicure o risparmiare a fronte di maggiori rischi) o il semplice lassismo da parte degli utenti nella protezione dei propri dati (poichè non tutte le imprese garantiranno la totale inviolabilità dei dispositivi gli utetni dovranno modificare le loro abitudini in base al livello di sicurezza che desiderano assicurarsi) sono emersi come i problemi più evidenti. Nonostante non vi sia accordo su quali possano essere le soluzioni ottimali, l’opinione dominante è che una presa di coscienza immediata sia necessaria, prima che il numero stesso dei dispositivi collegati renda ingestibile per l’industria una azione correttiva ritardata.

 

 

 

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