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I falsi miti del recruiting hi-tech

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Interviste con domande sconcertanti (“Quanto potresti chiedere per pulire tutte le finestre di Seattle?”), richieste  di coding  a bruciapelo, curricula persi nel vuoto: alcuni dei falsi miti della selezione del personale stanno progressivamente venendo abbattuti dai giganti dell’hi tech nella corsa ad accaparrarsi i migliori talenti sul mercato. La rivoluzione è partita dalla Silicon Valley per allargarsi al resto del mondo.

Un articolo di Vivek Ravisankar (co-founder di HackerRank, una piattaforma di coding contest con tool integrati che permettono agli head hunter delle società in cerca di talenti di semplificare ed ottimizzare il processo di recruiting) evidenzia quali sono i miti e le cattive abitudini di cui le aziende stanno tentando di liberarsi, con l’obiettivo di identificare un sistema di reclutamento smart che abbatta tempi e costi, producendo allo stesso tempo dati più attendibili e risultati migliori:

  • Individui di talento si trovano solo nelle università più famose. Il talento è ovunque: sebbene il valore medio delle performance degli studenti tenda a priviligiare le università più rinomate, menti straordinarie possono essere trovate anche al di fuori degli atenei più prestigiosi. Rivolgersi costantemente verso lo stesso vivavio di conoscenze significa precludersi risultati migliori a costi inferiori.
  • Le domande a sorpresa aiutano a distinguere  i veri talenti dalla mediocrità.  Indovinelli e domande trabocchetto sono inutili rispetto al processo di selezione, non potendo essere le risposte (ed il percorso attraverso cui si è giunti ad esse) essere oggettivamente valutate:  la nuova tendenza è quella di favorire un sistema trasparente, in cui il candidato è invitato ad interagire con l’intervistatore e con il mondo esterno per giungere ad una risposta che possa essere giudicata qualitativamente.
  • Per valutare un programmatore basta una lavagna. La parte dell’intervista in cui vengono quantificate le capacità del candidato dovrebbe essere condotta in un ambiente il più possibile simile a quello reale di lavoro. Ogni deviazione da questa norma rischia di produrre risultati inaffidabili.
  • Una volta trovato il candidato ideale il processo è chiuso. Il 75% dei candidati non riceve alcuna risposta dai selezionatori, quando ogni contatto dovrebbe invece essere valutato dalle aziende come un possibile canale per l’acquisizione, in futuro, di ulteriori talenti.  Al di là di evitare la percezione negativa verso l’esterno che la mancanza di una qualsivolgia risposta tende ad instaurare, le compagnie più innovative tendono ad inserire i propri candidati in network attraverso i quali questi possano essere nuovamente contattati e ad offrire strumenti di autovalutazione utili in vista di successive selezioni.

Questi principi possono considerarsi ormai recepiti a livello delle aziende più “smart” della Silicon Valley e stanno trovando applicazione sempre più estesa nella maggior parte delle società che operano in settori hi-tech e knowledge intensive.

 

 

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